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Piano piano ne prenderò coscienza

Creare per difendersi dal vuoto, respirare per dare vita ad un nuovo mondo. (La Forza del Dolore) – Accanto al letto ho un’antica cassapanca, nel 700 veniva adoperata per la farina e per il pane, fu uno dei miei tanti risparmi di una Domenica al Mercato delle pulci, mi rasserenava addormentarmi poggiandoci la mano sopra, ogni tanto mi dava cenno del suo ascoltare attraverso qualche strano cigolio. La notte iniziava da un prezioso frammento di sale che scaldava la luce della mia stanza. Sopra il letto una Moldavite incastonata dentro un uovo d’argilla, era divenuta dono condominiale, condivisione dello spazio spaziale. Ogni cosa in quella casa, come in ogni posto dove metto radice, nel breve tempo si riempie di magia e antica vernice, di sensazioni ancestrali che vanno a braccetto con le fantasie più reali. Immaginazione, realizzazione di un piano per la fluttuazione. Voci e danze antiche, quasi emarginate prendevano corpo senza alcune distanze. Ombre e luci, apparizioni di creature mitologiche, evanescenze di vocaboli scomparsi si realizzavano nel profondo sogno nell’essere presente. Il tappeto ai piedi del letto, proveniva da un mercato popolare della sconosciuta India. Ricordo ancora i miei soci in cammino come mi beffeggiavano affettuosamente nel rimorchiarmi quel peso, ma già lo vedevo dove ora risiede. All’ingresso di un giardino, trovai un’antica moneta, molto rara, avrei potuta barattarla con altro, ma quando una cosa ci appartiene manifesta un valore che non tiene pene. Fin da piccino, sono sempre stato attratto dalla memoria insita nelle cose, per questo mi ritrovo un patrimonio che esalta un mondo unito. Ho alchimizzato e trasformato, inserito e fatto convivere in armonia pezzi di storia che rischiavano andare via. / Rosa Blu Living, Casa Museo Sotto l’Etna. – Questa mattina sono tornato a trovare Amos, l’anziano ulivo che ha segnato il trapasso tra il vento, il ricordo e le foglie che volano via. La luce lo bacia in fronte al tramonto.

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Di Lavinia D’Agostino ([email protected])

Trasforma tutto ciò che gli capita tra le mani: da una tv fuori uso a un disco dell’aratro, da un antico anello di famiglia fino all’ultimo ritrovato nel cassonetto. Claudio Arezzo di Trifiletti, diretto discendente dell’antica famiglia blasonata siciliana, è un artista poliedrico. Intriso di fede cristiana e una forte spiritualità, vive in una casa che sembra un museo: una grande collezione privata di dipinti, installazioni e tanti ricordi. «La casa per me è nido, protezione, contenitore, calore» racconta accogliendoci. Già sul pianerottolo c’è un grande murales: «Rappresenta l’unione tra l’Oriente e l’Occidente – spiega l’artista – con delle candeline sul Giappone, in memoria del disastro di Fukushima». Sotto ci sono delle pietre, quelle dell’Etna, e anche pezzi di legno e sculture perché Claudio Arezzo Di Trifiletti vive in un mondo fatto di connessioni dove nulla è casuale: per la sua arte si fa ispirare dagli oggetti, o meglio, dalle vibrazioni che questi trasmettono, dalla storia che si portano dietro. «Credo molto alle vibrazioni delle terra attraverso le quali siamo connessi con tutto il mondo». Claudio si definisce, più che artista, “strumento”, intermediario di un progetto più alto: «Quando dipingo sono in uno stato di semi-trance, tutto mi è suggerito da sensazioni, emozioni e segnali». Qualunque sia la sua fonte d’ispirazione, nel grande appartamento in cui vive, un quinto piano al centro di Catania, si respira un’energia positiva. Qui tutto è colorato, dipinto, rigenerato. Un’antica maidda è diventata un pezzo d’asfalto, il frontale di una vecchia Fiat 500 è appeso in corridoio e le tv non si accendono, ma contengono gabbie e specchi. Le spade dei nonni, infilzate nel sale e nell’argilla, campeggiano nel salotto, ma sono isolate dal resto «perché sono comunque degli strumenti d’offesa». Questa casa è invasa dal sentimento positivo, come testimonia anche una cassapanca che custodisce centinaia di lettere d’amore perché «come disse Gesù, non esiste spada più tagliente dell’amore». In ogni spazio ci sono opere, persino sul tetto, e anche le porte sono decorate: con parole, con sabbia, con semi di girasole, riso e grano. Qui tutto è intrecciato, incastrato alla perfezione. E tutto ha un senso, un significato alto, un percorso preciso. C’è una statuetta che un ignoto immigrato ha portato con sé durante una delle traversate della speranza, un antico ombrello intriso di vernice simboleggia l’inquinamento dell’aria, e anche i barattoli che contenevano i colori sono diventati installazione. Poi, alzando lo sguardo, un papillon è appeso a quello che doveva essere il un bracciolo di una sedia: «Era di uno dei sopravvissuti della Costa Concordia – spiega l’artista -. Concordia è una parola importante in italiano, quando è affondata la nave ho pensato che fosse necessario riportare in alto la concordia, quella tra le persone». Claudio Arezzo Di Trifiletti è un uomo dalla sensibilità particolare, forse antica, comunque rara. Lui, che per anni ha fatto l’organizzatore in discoteca e a 23 anni era uno dei titolari del Clone Zone, dopo un viaggio in India ha capito che doveva seguire la strada dell’arte. «Volevo dare un taglio a quella vita dissoluta in cui mi nutrivo di vizio – racconta -. In India mi sono confrontato con degli illuminati, mi hanno consigliato di tornare a Catania per dipingere. Perché ognuno ha il suo ruolo nel mondo, e nasce nel posto giusto». Da lì le prime mostre. Prima a Parigi e poi all’Empire State Building di New York dove ha portato il frutto di un lavoro che per 68 giorni ha visto partecipe l’intera Manahttan. Era nato Imprints, il suo grande progetto artistico che mette in connessione il mondo attraverso le impronte lasciate dai passanti. In questi anni ha raccolto impronte in 15 Paesi, tornato a casa le ha dipinte trasformandole in grandiose opere d’arte. «Sogno di poterle esporre in un unico grande spazio – continua -. Magari in un capannone abbandonato di un quartiere disagiato. Ogni anno faccio richiesta alle istituzioni, ma neppure mi rispondono. Sono convinto che prima o poi arriverà questo momento, in caso contrario morirò con la consapevolezza di averci creduto fino in fondo. Intanto penso al da farsi, e se arriverà il “segnale” andrò a raccogliere le impronte di Cina, Russia e Giappone». Ma Imprints è solo uno dei tanti progetti che Claudio Arezzo Di Trifiletti ha portato avanti in questi anni. Mosso sempre dalla volontà di seminare amore e unione, per tre anni ha inviato un pezzo di una stessa tela, insieme ad un messaggio di pace, agli ambasciatori d’Italia all’estero e agli ambasciatori esteri in Italia. Nel caleidoscopio di opere colorate che è casa sua, trovano posto anche le piante, che per l’artista hanno un significato profondo: «Hanno radici nella terra e si elevano verso il cielo». Già sopra il suo letto trova posto un Potus, e poi ci sono i Ficus Benjamin per casa, me è nel balcone rigoglioso che si trova il pezzo forte: un albero d’ulivo «Frutto di un aperitivo in Giordania – conclude – . Mi sono sempre emozionato davanti alle piante. Penso che siano il futuro, e noi siamo alle porte di una nuova rivoluzione: ci allontaneremo dalla tecnologia per tornare alla terra, all’origine dei padri. Involverci per evolverci».

Vivere I 01_11_13

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